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Verso il Federalismo Fiscale
 
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Un federalismo di compromessi

di Enrico De Mita

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L'approvazione «preliminare» e frettolosa del progetto di legge delega in materia di federalismo fiscale ha confermato i limiti politici e istituzionali della proposta. Politicamente ci troviamo di fronte a un compromesso fra le forze interne alla maggioranza di governo che sembra prendere atto del silenzio dell'opposizione, eliminando così la premessa di fondo di una riforma concordata della Costituzione, specie di quella parte di essa che attiene all'ordinamento degli enti locali.

Ma questa connessione necessaria fra federalismo fiscale e riforma della Costituzione, che vede come logicamente prioritaria la riforma della seconda, non sembra interessare più di tanto il Governo. Anzi, questo profilo della priorità della riforma della Costituzione sembra fornire l'alibi perfetto per rinviare la soppressione delle Province: rinviata, si dice, a quando saranno istituite le aree metropolitane, con la strana idea che saranno eliminate solo le Province che si sovrapporranno alle aree. Si tratta di un'idea poco credibile, perché la vera ragione del silenzio su questo argomento si fonda sulla valutazione, da parte del Governo, della forza politica della istituenda Provincia brianzola (quella di Monza) che fa comodo al partito di Bossi.

Manca in generale al federalismo fiscale un orizzonte costituzionale, perché ciò che maggiormente preme al Governo e ai suoi ministri è il «rumore mediatico», e manca una prospettiva strategica che riguardi l'intero sistema politico. Ma l'approvazione frettolosa di un testo prolisso e a un tempo indeterminato ha avuto l'effetto di mutare l'orientamento non solo dei mass-media, ma anche degli enti locali, come i Comuni e le forze sociali, come la presidenza della Confindustria. Finalmente è ricomparsa nell'opinione pubblica più interessata alla questione la valutazione critica del provvedimento.
Il fronte finora compatto degli enti locali si è sgretolato. Il Pd balbetta, perché non sa se la sua strategia serva di più a essere coinvolto nella maggioranza sul tema delle riforme o a essere assorbito nelle critiche isolate dei propri parlamentari.

Fra questi c'è stato un interessante articolo di Vincenzo Visco sul Sole 24 Ore del 9 settembre, che contiene alcune affermazioni interessanti dirette a mettere in evidenza i limiti dell'operazione federalista inquadrandola più correttamente nella legislazione già esistente in tema di autonomia finanziaria degli enti locali, anziché proporla come anticipazione di un federalismo futuro senza nome e cognome. Tale intervento non ha trovato echi nel Partito democratico. Ma questa distinzione fra autonomia finanziaria e federalismo fiscale vede come grande assente il mondo scientifico, che ora sembra arrivare tardi, a cose fatte, per sostenere un'impostazione confusa.
Purtroppo in Italia una parte di noi professori universitari arriva sempre "in soccorso dei vincitori", mentre ci vorrebbe una presenza critica interpartitica (come fu al momento dell'istituzione delle Regioni), che metta i partiti di fronte all'individuazione delle priorità (prima la riforma della Costituzione o prima il federalismo fiscale?) e delle compatibilità (stanno bene insieme dal punto di vista della razionalità amministrativa aree metropolitane e Province, e che ne sarà di una città come Milano, con quattro enti locali che si sovrappongono e si ostacolano a vicenda?).
Quanto al testo programmato (riservandoci un'analisi più precisa dopo la sua approvazione formale), oggi esso si presenta come un elenco caotico di principi astrattamente condivisibili, ma senza una chiara distinzione della loro funzione. Una legge delega è fatta di norme deleganti e di limiti criteriati di essa. Invece nel progetto, sia pure informale, c'è una specie di parte generale introduttiva, dove non si capisce quale funzione debba avere la formulazione dei principi, che sul piano della tecnica giuridica non sempre hanno a che fare con le vere norme deleganti, e la precisazione dei tributi e delle risorse che si vorrebbero individuare.

La precisazione tecnica delle leggi non è fine a se stessa, ma è preordinata alle loro finalità operative. Ma il testo sovrabbondante nei principi e carente nella determinazione delle cose delegate (quanto di soldi avranno i Comuni, dopo la soppressione parziale dell'Ici) è soltanto un vago compromesso politico che volutamente viene considerato aperto, in un tempo non breve, a ogni integrazione da parte dell'opposizione (dando per scontata la coesione della maggioranza per ragioni di politica generale, altrimenti Bossi minaccia di far saltare tutto).
I nodi che dovranno essere sciolti sono non pochi. Il primo è l'atteggiamento dell'opposizione. Qui il ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto (Il Foglio, 12 settembre) ha detto delle cose molto vere, arrivando però a conclusioni ardite. Come sappiamo, gli enti locali con le loro associazioni sono un vero e proprio partito politico, finora egemonizzato dalla sinistra. Su questo elemento storico si fonda Fitto, e sulle varie cabine di regia, per inglobare gli enti locali nella maggioranza.
  CONTINUA ...»

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